Gli scrittori guelfi gli appongono di non avere altra forza che venti galee e cento militi; ma, lasciando stare che forze assai più numerose avea fatto procedere, egli, più che nelle armi, confidava nella politica. Già sin da che era venuto in possesso del regno di Gerusalemme, avea spedito l’arcivescovo di Palermo ad offrire pace ed amicizia al soldano d’Egitto, il quale con lieto animo avea ricevuta la proposizione, ed in segno di amicizia e di pace per lo stesso arcivescovo gli avea mandato un elefante, muli ed altri ricchi presenti; e quell’arcivescovo nel gennajo di quell’anno era già di ritorno (330).
Posto piede a Tolemaide, Federigo, cui si unirono tutti i crocesignati, che colà stavano ad aspettarlo, s’avanzò sino a Gaffa, per ristaurarne le bastite. Già sin dal suo arrivo il soldano di Egitto avea a lui mandato suoi ambasciatori per ossequiarlo ed aprir trattative di accordo; nè accadde lungo trattare. Quel soldano stretto da molte guerre domestiche, non volea tenzonare coi cristiani per lo possedimento dello sterile paese di Gerusalemme. Una tregua di dieci anni fu conchiusa, durante la quale furono cedute a Federigo le città di Gerusalemme, Betlem, Nazaret, Tiro, Sidone coi rispettivi territorî e con tutto il paese frapposto all’una e all’altra città; in guisa che dalla spiaggia di Tolemaide sino a Gerusalemme, tutta la provincia fu dominio cristiano. Ma perchè i musulmani veneravano il tempio di Gerusalemme, come i cristiani il santo sepolcro di G. C., fu convenuto che potessero senza molestia recarvisi a far loro preci, ma in quel numero che piacerebbe a Federigo, disarmati, e tosto fatta l’adorazione, dovessero ripartire, non potendo albergare entro le mura della città. Liberati furono tutti gli schiavi cristiani.
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