Disse ch’egli non avea vietato al nipote del re di Tunisi di recarsi in Roma per battezzarsi; che quel principe era venuto nel suo regno per campar la morte, minacciatagli da suo zio; e richiesto se volea convertirsi alla religione cristiana, s’era costantemente negato; del resto dimorava egli libero in Puglia, e se volesse ricevere il battesimo, non impedimento o divieto, ma conforto e favore ne avrebbe. Disse che quel Pietro Saracino era stato a buon dritto carcerato, per esser suo nemico; ch’egli era mandato dal re d’Inghilterra in Roma, ma portava seco una lettera di quel re a lui diretta, nella quale lo pregava a perdonarlo, e ch’egli non ne tenne conto, perchè il re Arrigo ignorava le colpe, delle quali costui era reo. Disse di esser pronto a provvedere le chiese vescovili vacanti, e desiderarlo ardentemente, purchè saldi restassero i privilegi e le prerogative godute dai re suoi predecessori, di cui egli avea usato con più moderazione. Disse che le taglie e le collette erano state imposte ai chierici, non pe’ beni ecclesiastici da essi posseduti, ma pe’ feudali e patrimoniali, giusta il dritto comune. Disse che pei chierici che si dicevano carcerati, proscritti ed uccisi, sapea che alcuni erano stati carcerati dai magistrati, per consegnarli ai tribunali ecclesiastici; che alcuni erano proscritti, perchè rei di lesa maestà, ed alcuni ne erano stati uccisi a causa dell’immunità ecclesiastica, per cui il vescovo di Venosa era stato ucciso da un monaco; e nella chiesa di S. Vincenzo un monaco ne avea ucciso un’altro, senza che i rei di tali atroci delitti avessero riportato alcuna pena dai tribunali ecclesiastici.
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