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      In veruna delle epistole di Federigo, comechè in alcune con molta virulenza si fosse querelato degli abusi dell’autorità pontificia, giunge egli a negare al pontefice il dritto della scomunica. Negava bensì (ed egli solo il negava) il dritto di scomunicare alla babbalà, senza le forme prescritte dai sacri canoni e per motivi puramente mondani. Si sa poi che l’opera «De tribus impostoribus» che i nemici del re imperadore dicevano di essere stata da lui scritta, è una favola; e che quel libro, che in tempi di appresso fu ad altri attribuito, non è mai stato al mondo. I fatti poi narrati dagli storici di quell’età e le leggi emanate da quel principe, mostrano ch’egli, sia per ischivare la taccia di miscredente, che i guelfi voleano dargli, sia per la severità del suo carattere e per non essere del tutto spoglio della crudeltà del padre, lungi di negare le verità fondamentali della religione, fu un’acerrimo persecutore dei novatori, che allora erano. Lo stesso papa Gregorio nella bolla colla quale fulminò l’anatema contro di lui, enumerando minutamente le ragioni, per cui veniva a scomunicarlo, per lo più o false o lievi, non fa alcuno motto di tali empietà da lui sostenute, mentre sarebbe stata questa la sola ragione per cui a buon dritto avrebbe dovuto essere scomunicato.
      Ma tali guerre colla penna erano un nonnulla appo quella che si facea colla spada. L’esercito guelfo, guidato da un legato pontificio soprapprese Ferrara ed altre città ghibelline; i miseri abitanti imploravano la clemenza del legato, offrendo le città e quanto aveano, purchè avessero salva la vita; e la vita fu loro negata (350). Una lega strinse il pontefice coi Veneziani, per invadere colle loro armate la Sicilia; ma tale invasione si ridusse poi ad una correria sulle coste di Puglia.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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