In oriente, spirata la tregua, conchiusa da re Federigo imperadore, il soldano d’Egitto si era insignorito di Gerusalemme e minacciava Tolemaide. Tali disastri larga materia d’invettive e d’accuse davano alle due fazioni, che laceravano l’Italia. Apponevano i guelfi a Federigo d’aver chiamati i Tartari in Europa e di essere d’accordo coi musulmani in Asia. Dicevano i ghibellini che il papa, invece di destinare alla difesa dei cristiani di oriente i tesori, che con quel pretesto traeva dalle chiese, l’impiegava a sostenere la guerra in occidente.
Per ismentire tali rimproveri, or Innocenzio or Federigo proponevano la pace, ma a nulla poi montava. Nel 1244 papa Innocenzio fu il primo a farne la proposizione. Il re imperadore mandò tosto a lui il conte di Tolosa e i due ricantati ministri Pietro delle Vigne e Taddeo di Sessa, ai quali diede ampia facoltà di giurare sull’anima sua qualunque patto. Di ciò al solito diede parte a tutti i sovrani di Europa, ai quali mandava copia delle istruzioni da lui date ai suoi messi spediti al papa. Si obbligava in esse a restituire tutto il paese occupato dopo la scomunica; a perdonare tutti coloro che avean parteggiato pel papa; a mettere in libertà tutti i prelati prigioni; a restituir loro tutto ciò che con essi era stato preso; a riconoscere la scomunica a lui fulminata dal morto Gregorio e farne quelle penitenze di digiuni, elemosine, fondazioni di ospedali e di chiese, che al papa fosse piaciuto imporre; salvi sempre i dritti e gli onori, che senza alcuna diminuzione dovea continuare a godere nell’impero e nei suoi regni (356).
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