Assolviamo e dichiariamo sciolti del loro giuramento tutti coloro che a lui hanno giurato fedeltà; strettamente vietando a tutti, di obbedire quindi innanzi a lui come re e come imperadore. Dichiariamo essofatto scomunicato chiunque a lui desse consiglio e favore. Coloro ai quali spetta l’eleggere l’imperadore, eleggano un’altro a suo successore. Del regno di Sicilia poi cureremo di disporre come conviene col consenso dei nostri fratelli cardinali (358).»
Giunta al re imperadore la notizia di tale sentenza, ordinò di raccogliersi gli scrigni, nei quali era riposto il suo tesoro portatile; trattone la sua corona, se la pose in capo e levatosi gridò «Vedete se per la sentenza del papa e del suo concilio ho perduto la corona; nè la perderò, senza correr fiumi di sangue.» Nè qui si tenne. Scrisse secondo il solito un’epistola a tutti i sovrani d’Europa, per mostrare quanto illegale era la sentenza contro di lui proferita. «Comechè» fra le altre cose in essa diceva «la nostra cattolica fede ci obblighi a confessare di essere stata data da Dio al capo della chiesa romana piena facoltà nelle cose spirituali, per quanto esser possa, Dio liberi, peccatore; e che chiunque egli sciogliesse o legasse in terra, sia sciolto e legato in cielo; pure non mai si legge d’essere stato dato a lui dalle leggi umane e divine il dritto di condannare i re, di punirli temporalmente col privarli dei regni loro e di disporre a senno suo degl’imperi. E se a lui e per legge e per consuetudine compete il coronarci, non per questo ha egli il dritto di privarci della corona, più che non l’abbia ogni altro vescovo al quale appartenga il coronare e consacrare altri re (359).»
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