VIII. - Perchè poi un tal savissimo divisamento avesse avuto luogo in fatto e le querele contro i magistrati fossero proposte in modo più solenne, Federigo, venuto in Sicilia due anni dopo la conchiusione del parlamento di Melfi, nei gennajo del 1233 chiamò un nuovo parlamento in Messina; nel quale fu stabilito che due volte l’anno, cioè nelle calende di maggio e di novembre, in certi luoghi designati in ogni provincia, si riunissero i prelati, i conti, i baroni. quattro buoni uomini de’ più distinti d’ogni città cospicua e due d’ogni castello o terra di minor nome; vi venissero il gran giustiziere con tutti i giustizieri, il gran camerario co’ camerarî, i bajuli e tutti i magistrati ed officiali regî. Presedea in tali adunanze un regio messo, ed in esse ognuno metteva avanti le sue querele contro il gran giustiziere, i giustizieri e qualunque altra persona vestita di pubblica autorità. Le querele, ridotte in iscritto, suggellate da’ quattro più eminenti prelati, ch’erano presenti, venivano consegnate al regio messo, per farle presenti al re (416).
Fra tante antiche istituzioni; che le posteriori vicissitudini fecero andare i disuso, la perdita di tali corti di sindacatura è una di quelle, di cui la Sicilia deve maggiormente rammaricarsi; perocchè era questo il solo efficace mezzo di tenere a segno i magistrati e conservare illibato l’onore di essi. L’uomo ha sempre uno stimolo al malo oprare, nella speranza che le sue colpe fossero ignote; e tale speranza nel magistrato è in tanto più forte, in quanto la sua corruzione è difficile a provarsi legalmente; ma non v’ha uomo, perverso che si voglia, al quale non fosse spaventevole il rischio di essere rimproverato de’ suoi malfatti due volte l’anno, in una pubblica adunanza, composta di quanto v’ha di più illustre nella nazione; nè era mestieri che al rimprovero seguisse la punizione; perocchè la querela stessa portava seco il più severo di tutti i gastighi, la pubblica disistima, la quale, anche senza prove legali, facilissimamente si appicca.
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