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      Prescrisse che in ogni città o terra fossero due cittadini, i quali doveano curare che il popolo non soffrisse inganno o frode dagli artieri e dai venditori di grasce. Erano essi scelti dai bajuli, i quali doveano, per lettere suggellate e sottoscritte da essi e da coloro che aveano consigliata la scelta, far noti i nomi degli eletti al re, se si trattava di luoghi del demanio, al barone nei feudi, per essere approvati e scritti ne’ pubblici registri (426).
      È ben degno di nota che mentre ne’ regni di oltramonti (le città d’Italia si governavano tutte a popolo) il dritto di costituirsi a comune ed aver proprî magistrati veniva concedendosi, come special privilegio, a tale o tale altra città, Federigo ne fece di colpo un regolamento generale; e così venne a dar più peso alla classe non feudale; nè guari di tempo andò che ne accrebbe l’importanza con dare ai comuni una rappresentanza politica, dopo d’aver loro affidate funzioni municipali.
      Già nel 1132 avea chiamato due de’ maggioringhi di ogni città e terra, pel bene generale e la utilità del regno, in un parlamento, che in quell’anno volle convocato in Foggia (427); l’anno appresso fu dato ai comuni il dritto di mandare loro rappresentanti alle corti di sindacatura, stabilite nel parlamento di Messina; finalmente nel 1240 fu data ai comuni del demanio sede stabile nel parlamento del regno.
      L’adunanza del parlamento e l’intervenirvi non erano prerogative particolari di alcun paese o di alcuna persona; ma era questo uno de’ servizî, che doveano rendere al principe tutti i suoi baroni, i quali erano tenuti di recarsi all’esercito o al parlamento, ove al loro signore fosse piaciuto l’adunare l’uno o l’altro: e però, comechè per l’interna amministrazione distinto fosse il regno di Sicilia dalla provincia di là da Roseto, un solo parlamento era in tutta la monarchia, che si riuniva ora in Puglia, ora in Calabria ed ora in Sicilia.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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