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      Non era questo il solo vincolo del commercio. Non altronde che da luoghi determinati si potevano asportar le derrate; in tutto il giustizierato di là dal fiume Salso, le navi non potevano caricare che nei porti d’Agosta e di Milazzo (452). Nè ciò era tutto. Avea una volta Federigo dato l’ordine del grand’ammiraglio Niccolino Spinola di portare in Tunisi cinquantamila salme di frumento, ordinò al tempo stesso a tutti i portulani di Sicilia di non permettere che si asportasse frumento da veruna spiaggia del regno, se prima non si spedivano quelle cinquantamila salme (453).
      Questi fatti bastano a farci conoscere che nullo era allora il commercio della nazione; e in quale stato esser dovea l’agricoltura, possiamo argomentarlo dalla difficoltà quasi insuperabile di mandar fuori i prodotti della terra, e dalla legge che le mercedi degli operai fossero fissate dal magistrato, che prova quanto scarso era il numero di coloro che liberamente si davano ai campestri lavori. Ed infatti le terre coltivate erano tanto poche, che nel 1239 il giustiziero di qua del fiume Salso espose al re imperadore, che gli agricoltori delle contrade di Sciacca, Girgenti e Licata non avean legno da far un aratro, per la grand’estensione delle tenute e delle foreste riserbate al principe, che si dicevano difese, nelle quali era severamente vietato tagliar legname d’ogni maniera; e proponeva di permettersi in qualche sito il taglio del legname a quell’uso. Federigo rispose che lo avrebbe permesso, se il giustiziero gli avesse additato il sito opportuno (454). Se quel principe si fosse allora sovvenuto di avere altrove dichiarato che la ricchezza dei sudditi accresceva la sua (455), avrebbe ordinato che in ogni parte della sua difesa gli agricoltori potessero fare gli aratri; ma quella gran verità, conosciuta in astratto, confermata dall’esperienza, è poi nel fatto messa sempre in non cale.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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