Venute poi popolose e potenti le città siciliane, la famosa battaglia d’Imera elevò lo spirito pubblico; l’immenso spoglio e la straordinaria copia di schiavi indi tratti fecero imprendere magnificentissime opere, per cui valida spinta ebbero le arti e le scienze fisiche; e finalmente la somma ricchezza e civiltà, alla quale giunsero in quell’età Agrigento e Siracusa, largo campo d’onore e di fortune offrivano agli scienziati ed agli artisti. Ma ciò che veramente fece allora prosperare le scienze e le lettere in Sicilia, fu la vicina scuola di Pitagora. Viaggiavano in Sicilia i suoi discepoli; egli stesso visitò le principali città dell’isola, per diffondere da per tutto l’amor del sapere e della libertà. Affluivano i Siciliani a Turio e vi apparavano aritmetica ed i morali e politici precetti che si predicavano in quella scuola. Tutte quelle discipline ebbero straordinario incremento, quando il catanese Caronda, caldissimo seguace di Pitagora, diede leggi a Catana, ad Agrigento, ad Imera, a Tauromenio, alle città calcidiche Nasso, Callipoli, Leonzio, Eubea, Mile, Zancla ed a molte città della Magna Grecia, nelle quali fece stanziare, che nelle città fossero fondate pubbliche scuole con professori stipendiati per lo insegnamento dei cittadini.
La poesia, non più rude, com’è stata sempre nell’infanzia della società, venne acquistando forme più regolari, ed espresse più nobili sentimenti. Levaron grido di buoni poeti Teognide da Megara, Alemano ed Ibico da Zancla, Aristosseno da Selinunte, Acheo e Formo da Siracusa; ma sopra tutti si distinsero Stesicoro da Imera ed Epicarmo da Megara o da Siracusa.
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