I filosofi in quell’età, sia che avessero creduta la prosa poco degna d’esprimere grandi e sublimi verità, sia che la verità posta a nudo poteano fare mal sentire ai governi, sia in fine che avessero voluto farla meglio assaporare ai popoli, mescendovi il dolce della poesia, solevano dettare in versi i loro filosofici precetti. Varcava Empedocle appena l’adolescenza, quando il vecchio Senofane veniva discorrendo le città siciliane, recitando per tutto le sue filosofiche poesie. Avido corse a lui il giovine agrigentino; ma poco potè giovarsi delle lezioni del vecchio vagabondo; per che si recò in Elea sulle rive dell’Etrasia, ove fioriva la scuola di Parmenide, discepolo di lui. In quella scuola innanzi ad ogni altro discepolo si distinse; pure fastidito dalla sottigliezza di quella filosofia, venne in cerca della dottrina di Pitagora e tutto se ne imbevve. Non sazio ancora d’acquistar sapienza, viaggiò in Egitto ed in Persia, per meglio approfondire le scienze naturali ed istruirsi nella teologia orientale, la quale per li sublimi e purissime idee, che dava della divinità, a gran pezza sorpassava la sozza religione de’ Greci; ma questa, col rendergli più dura la virtù, venne afforzando in lui il desiderio di recare in pratica i principî di Pitagora intorno al reggimento delle città, ch’egli tenea i più acconci a far che il governo fosse sempre affidato ai virtuosi e sapienti; perocchè appo i pitagorici la sapienza andar non poteva disgiunta dalla virtù.
A tale oggetto rivolse tutte le sue cure, tosto come, già maturo d’anni e di senno, rimpatriò. Comechè nobile e ricco egli stesso, si chiarì aperto nemico di mille nobili che reggeano per dritto di nascita la città e dal loro numero erano detti chiliarchi.
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