In tutto il periodo della romana dominazione, finchè la sede dell’impero fu Roma, fiorirono i poeti bucolici Bione da Siracusa e Tito Giulio Calpurnio, forse da Panormo; i retori Cecilio da Calatta, Claudio Mamertino da Messina, Sosto Claudio da Panormo e Tito Manlio Soside da Catana; i medici Filonide da Catana, Apuleo Celso da Centuripe; i filosofi Probo da Lilibeo, Tito Aufidio, Nicone da Agrigento, Giulio Firmico Materno, Sesto Giulio Frontino, e gli storici Lupo da Messina, Ninfodoro e Flavio Vopisco, ambi da Siracusa, e sopra tutti splende come luminosissima face il sommo Diodoro da Agira.
La fiamma delle lettere non può spegnersi in un fiato; ma ove manchi d’alimento, vien grado grado perdendo luce e calore. Fra tutti coloro, de’ quali s’è fatto cenno, alcuni nulla scrissero, e la prova del loro sapere sta nell’asserto di Cicerone, il quale potea esagerare i loro meriti, per dar più peso all’accusa contro Verre; gli altri vissero e fiorirono in Roma; ciò mostra che la pianta cominciava ad istellire nelle radici. Nelle precedenti epoche era tra la Greca e la Sicilia uno scambio continuo di lumi. Si recavano in Grecia i filosofi siciliani, in Sicilia venivano i Greci; perchè i dotti sono sempre stati cupidi del consorzio e dell’ammirazione de’ dotti. Ma caduta la Sicilia sotto la dominazione romana, nessun romano, da Cicerone in fuori, venne in Sicilia, se non per trar sangue e denaro da’ Siciliani, ed i siciliani erano stretti a recarsi a Roma per cattarvi quel nome e quella fortuna, che non potevan più trovare nella terra natale.
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