» Tali opere sperse oggi nelle biblioteche dell’Escuriale, di Parigi e di Leyden, e che sono forse un solo avanzo della letteratura arabo-sicula, mostrano che i Saracini in Sicilia non eran men colti che altrove. Ciò non però di manco la diversità della lingua ed assai più quella della religione mettevano un ostacolo insuperabile alla diffusione delle lettere, che restarono patrimonio esclusivo de’ musulmani; intantochè sotto a quella scorza di civiltà la nazione siciliana marciva in tanta ignoranza, che mentre i monaci di altri paesi conservavano nel bujo dei bassi tempi qualche scintilla di sapere, e quasi ogni monastero scrivea la cronaca della chiesa ed anche tal volta dello stato, tanto oppressi e deserti divennero sotto il saracino dominio, i pochi monasteri che restarono in Sicilia, e tanto tapini erano i monaci, che l’abitavano, che pur uno non seppe registrare gli avvenimenti di quell’età (458).
Se i principi normanni non avessero avuto il nobilissimo orgoglio di chiamare dagli altri paesi gli uomini più colti di quell’età, alcuni dei quali d’ordine loro ne scrissero le gesta, non si sarebbe trovato in Sicilia chi avrebbe saputo farlo. Ma un de’ grandi vantaggi, che la Sicilia trasse dalla conquista, fu che i re Normanni prepararono gli elementi al risorgimento dalle lettere. Guglielmo di Puglia, Goffredo Malaterra, l’abate di Telesa, Ugone Falcando, Romualdo arcivescovo di Salerno, che scrissero la storia di quell’epoca, comechè nessuno fra essi fosse stato siciliano, vissero tutti in corte, ed in corte vissero gl’inglesi Roberto Rosert, Riccardo Palmeri, Gualtiero e Bartolomeo Hoffamill, ed i franchi Pietro e Guglielmo de Blois, fratelli.
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