La storia naturale era uno degli studî, di cui Federigo pigliava maggior piacere. Resta ancora una sua opera sull’uccellagione, nella quale tratta di tutte le specie di uccelli, acquatici, terrestri, quelli ch’e’ chiama medî e di que’ di passo; parla del nutrimento particolare di ogni specie e del modo come se lo procacciano; descrive le parti del loro corpo, il colore delle loro penne, la struttura delle loro ali, i loro mezzi di difesa e d’attacco. Nella seconda parte insegna il modo di scegliere gli uccelli di rapina, di nutrirli e di addestrarli, sì che facciano servire ai piaceri dell’uomo, più vorace di loro, l’istinto di voracità ch’ebbero dalla natura. Quest’opera (De arte venandi cum avibus) non è arrivata integra sino a noi, comechè re Manfredi ne avesse supplito alcuna parte e qualche intero capitolo. Monca com’era, su di un’antichissimo esemplare fu pubblicata in Ausbourg nel 1596 (460).
Caro era a quel sovrano chiunque si distinguea nella scienza. Di tal numero fu Alcadino da Siracusa, il quale, venuto in Salerno per imparar filosofia e medicina, tanto in quelle scienze progredì che le cominciò leggere in quella stessa scuola. Grandi ricompense riportò da re Arrigo imperadore, per averlo guarito di una sua malattia. Morto Arrigo, assai caro divenne a Federigo, a cui richiesta scrisse un’opera in versi latini sui bagni di Pozzuoli. Avea anche scritto: De Triumphis Enrici imperatoris; e De his quae a Friderico II imp. praeclare et fortiter gesta sunt; ma queste due opere son perdute.
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