Il Gregorio (464) pubblicò alcuni diplomi del 1249 e del 1262, nei quali sono descritte le opere che i villani di certi luoghi doveano al loro signore, in essi si legge: personae decem habentes boves, qui reddunt curiae annuatim cum pariclis eorum... in seminando, zappuliando, maisando..... tempore zappandi vineas..... È manifesto dunque che nel XIII secolo si dicea siminari, ammaisari, zappuliari, zappari, e perciò maisi, zappa, zappudda, e si chiamavan paricchia due buoi appajati; in somma che si parlava da’ villici come oggidì; e leggendo que’ diplomi ti par di leggere alcuno degli atti che fin vie ier l’altro si scrivevan da’ nostri notai.
È fuor d’ogni dubbio adunque che il dialetto siciliano si formò indipendentemente dalla lingua italiana, come indipendentemente l’uno dall’altro si formarono tutti i dialetti delle altre provincie italiane, comechè abbian tra essi una generale somiglianza per la comune origine dalla latina. Se Dante dice che il volgare siciliano era tanto in onore all’età di Federigo che tutti i poemi che fanno gl’Italici si chiamano siciliani, non intendea dire, del volgare che si parlava in Sicilia, ma di quello in cui si scrivea nella corte de’ re di Sicilia Federigo e Manfredi. In quella corte fiorivano i più belli ingegni di tante città d’Italia, i quali, presi da nobile emulazione co’ Siciliani, che furono i primi a poetare nel linguaggio loro, che cercavan d’ingentilire, cominciarono a far lo stesso ne’ rispettivi dialetti; l’uno imitava l’altro; le nuove voci si rendevano generali; e così venne a formarsi la lingua lodata dall’Alighieri ed imitata da tutti coloro che scrivevano allora in Italia (465).
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