Ove poi l’Alighieri riprova la lingua de’ Siciliani, parla del loro dialetto, ed adduce appunto l’esempio della canzone di Ciullo d’Alcamo; perchè, per essere stato costui il più antico di tutti, sì ch’è dubbio se fosse giunto all’età di Federigo (468), la sua lingua maggiormente si avvicina al dialetto; e certamente quel focora, quel bolontate quel non aio abento, che tosto segue, sono idiotismi, che mal doveano suonare alle orecchie di Dante.
VIII. - Che poi i Siciliani siano stati i primi a poetare nella lingua volgare, è un fatto, sul quale non può cader dubbio; tanto sono concordi nell’asserirlo tutti gli scrittori di quell’età; e se le gare municipali hanno fatto divenire ciò oggetto di disputa, e s’è creduto trovare alcun poeta anteriore ai Siciliani, posto ancora che una tale anteriorità fosse incontrastabile, ciò non proverebbe che Dante, Petrarca e gli altri non dissero il vero; ma che altri poeti ebbero ad esser in Sicilia, anteriori a quelli, che noi conosciamo. E ciò sembra confermato dal detto di Petrarca, il quale nella dedicazione delle sue epistole familiari dice d’avere scritte parte delle opere sue in prosa o in versi latini, e parte intesa a dilettare gli orecchi del volgo, usando le leggi proprie de’ volgari; il qual genere, come è fama, non son molti secoli rinacque fra’ Siciliani, e quindi in breve si sparse per tutta Italia (469). Ora questa lettera fu da Petrarca scritta verso il 1360, Ciullo d’Alcamo fiorì sulla fine del XII e principio del XIII secolo però fu appena un secolo e mezzo anteriore al Petrarca; pare adunque che l’espressione: Non multis ante seculis, se si riferisse a Ciullo ch’è il più antico di quanti se ne conoscano, sarebbe molto mal conveniente.
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