È dunque assai probabile che i Siciliani, i quali già da gran tempo usavano il loro dialetto, avessero in questo cominciato a poetare assai prima di Ciullo, tratti dall’esempio dei poeti arabi, coi quali conviveano.
IX. - Il dottissimo Ginguenè impiega quattro capitoli della sua erudita e sensatissima storia letteraria d’Italia a far conoscere la letteratura degli Arabi, e particolarmente di quelli di Spagna, e ad esaminare le loro poesie, per far conoscere quanta somiglianza sia, e pel soggetto, che per lo più si cantava, e pel metro, per la disposizione delle rime, tra le poesie degli Arabi e quelle dei Provenzali, che per essere stati i primi a poetare nella lingua, che parlavano, la quale si diceva romanza o sia romana, perchè formata dal linguaggio che si parlava in Roma, furono detti trubadori o trovatori, che suona inventori di questa maniera di poesia. E perchè costoro dall’XI secolo in poi si sparsero per l’Italia ed ivan per le corti cantando d’armi e d’amori, e tanto diffusero quel gusto che i più potenti signori ed i principi stessi furono trovatori, e molti fra gl’Italiani ne imitarono la maniera di poetare, pensa il Ginguenè (ned egli solo il pensa) che il prototipo delle antiche poesie degli Italiani fosse stata quella degli Arabi i quali furono imitati da’ Provenzali, e questi dagl’Italiani. Ma ciò sembra smentito dall’essere stati contemporanei, e forse più antichi de’ provenzali i poeti di Normandia, che nulla aveano avuto a fare cogli Arabi, e che anche colà si dicevano trouveurs, ed ancor colà cantavano le imprese de’ prodi e gli amori delle belle.
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