Per lo che, quando venne in Napoli il conte di Caserta, speditovi dal principe Manfredi, per ricevere l’omaggio della città, i Napolitani a lettere d’appigionasi dichiararono: se essere stanchi di soffrire scomuniche ed interdetti, però non volere riconoscere alcun sovrano, che non fosse dal papa investito. Lo stesso dissero i Capuani (472): ed ambe le città si prepararono alla difesa. Il loro esempio fu seguito da Andria, Foggia, Barletta, Avellino ed altre città; anzi que’ di Foggia dando libero sfogo a quegli umori, che Federigo con tanto studio avea cercato di reprimere, tolti via i magistrati regî, elessero un consiglio municipale, al quale diedero il governo della terra ed ogni facoltà di giudicare tanto nel criminale, che nel civile. Anche molti dei baroni, per mal animo contro i Tedeschi e particolarmente contro Bertoldo marchese di Bembourgh, che n’era il supremo comandante, ritrattisi dalla corte, o palesamente o di soppiatto, favorivano la parte papale.
Nè il regno era più tranquillo della provincia. Grandi erano i ricorsi, che tuttodì giungevano al principe Manfredi contro di Pietro Ruffo, per la violenza e le concussioni, che si faceva lecite. Il principe, per darvi rimedio, da una mano chiamò a se il Ruffo, fingendo d’aver mestieri del suo consiglio; dall’altra spedì in Sicilia il conte Galvano Lanza, fratello di sua madre, in apparenza per venire al possesso della contea di Butera e delle baronie di Paternò e di Agira, che a lui avea concesso, in fatto per assumere il governo del regno, allontanando Ruffo.
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