Non avendo forze da farsi temere (chè i soli mercenarî, senza i baroni, erano allora di lieve momento); nè qualità da farsi amare dal popolo, tentò di ottenere la pace dal papa; ma questi volendo usare la congiuntura, non diede ascolto ai messi di lui; per lo che pregò Manfredi a recarsi in presenza del papa, per far di piegarlo. Il principe Manfredi; comechè sin dal momento che il re suo fratello s’era cominciato a mostrare a lui avverso, non si fosse più tramesso ne’ pubblici affari ed avesse tollerato in pace ogni sopruso senza far motto; pure, per favorire, quant’era in lui, il nipote, si portò in Anagni, ove papa Innocenzio s’era ritratto, ed a lui si presentò. Ne fu accolto benignamente; ebbe speranza di venirsi all’accordo; partiti or si proponevano, or si rigettavano. Ma mentre così il papa lo teneva in pastura, faceva grandi leve di genti in Lombardia ed in tutte le città guelfe. Accortosi allora Manfredi che il papa lo giuntava, per non esser colto alla sprovveduta, senza far motto scantonò e venne a riferir tutto al marchese di Bembourg. Questi, inabile ad affrontar la piena di tante contrarietà, rinunziò il baliato e cominciò a pregar Manfredi ad accettarlo; alle sue si unirono le preghiere di tutti i baroni ghibellini, alle quali s’arrese.
III. - Tutta quasi la Terra-di-lavoro dichiarata in favore del papa; assai città della Puglia pronte ad aprirgli le porte; molti baroni volti già a quella fazione; molte città di Sicilia ribellate per opera del cardinale Ottaviano, di Pietro Ruffo e di Riccardo da Montenero; mal ferma la fede dei popoli, stanchi della guerra, costernati dai mandatarî di Roma, disgustati del governo dei Tedeschi, impoveriti dalle continue onerosissime tasse; poche e spogliate le truppe; l’erario vuoto; il papa, fatto già ogni appresto, sul punto di mettersi in cammino: tale era allora lo stato del regno.
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