Ciò non però di manco il principe venne a cadere dall’opinione dei suoi stessi baroni ghibellini, i quali a malincorpo vedevano, che il pontefice, senza tenere alcun conto della convenzione, governava il regno da assoluto signore; concedeva contee, feudi e signorie; non volle che nel giuramento di omaggio, a lui prestato da’ baroni e dalle città, si fosse fatto alcun cenno dei dritti di Corradino e dello stesso principe. Tutto ciò eglino attribuivano alla debolezza di Manfredi; senzachè i baroni, ch’erano col papa rientrati nel regno, facevan tanto poco conto di lui, che nel parlargli pur non si degnavano scoprirsi il capo.
Pur comechè papa Innocenzio la facesse da padrone del regno, molto temea dei Tedeschi, che vi erano, i quali avrebbero potuto un giorno o l’altro far valere i dritti di Corradino e rannodare tutti i ghibellini, sopraffatti, ma non estinti. E però per avere il regno senza spargimento di sangue, ad insinuazion del cardinal Fieschi, suo nipote, cominciò a trattare con costoro di guadagnarli, colla promessa di larghi stipendî, dachè quella gente era usa a vendersi al miglior compradore. Ma il principe Manfredi, cui per contraria ragione ciò non andava a sangue, secretamente li distoglieva, con far loro considerare che poco era da contare sulle promesse di un papa travecchio (478).
IV. - Ma, mentre papa Innocenzio si tenea sicuro di avere di già esteso i confini dello stato romano sino alla spiaggia di Pachino e di Lilibeo, un caso accadde, che mandò in fumo tutti i mal concepiti disegni.
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