Era in corte del papa un Borello d’Anglone, il quale, per essere assai caro ad Innocenzio, era più ardito degli altri baroni, e più degli altri tenea in dispregio Manfredi. A costui avea il papa concessa la contea di Alesina, che partenea al principato di Taranto; e, senza farne motto al principe, con armata mano corse ad insignorirsene. Manfredi, per averla restituita, ne offriva al d’Angione un equivalente: costui ricusò l’offerta, e rispose anzi minacciandolo; ricorse il principe al papa e non ebbe ascolto; però, piegandosi ai tempi, dissimulava le minacce dell’uno, l’ingiustizia dell’altro.
Giunse un di quei giorni in Icano, ove il papa era, e con esso il principe Manfredi, e ’l d’Anglone, la notizia che ivi era per arrivare il marchese di Bembourgh. Manfredi volle andargli incontro per complirlo; e chiestone prima congedo al papa, si mise in via con alquanti cavalieri. Cammin facendo, alcuni della comitiva di lui videro un drappello di gente schierato sopra una collina, sotto la quale era un angusto sentiero, per cui essi dovean passare. Conosciuto che fra costoro era il d’Anglone, sospettando che forse costui era posto lì al guado scesi dai ronzini, montarono i destrieri, per prepararsi allo attacco. Quelli, conosciuto da ciò, che non era più il caso coglierli alla sprovveduta, si volsero a fuggire; gli altri si diedero ad inseguirli; uno de’ cavalieri di Manfredi, sopraggiunto il d’Anglone, lo ferì da tergo. Così fuggendo gli uni, inseguendo gli altri giunsero in Teano.
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