Coloro ch’erano entro la città cominciarono d’in sulle mura e con dardi e con bricche e con altri argomenti di guerra a tener lontano l’esercito vincitore, il quale ciò non di manco faceva ogni opera di assaltar la città. Mentre così si combatteva da un lato, una mano di arcieri saracini corsero alla parte opposta, e trovate mal difese e più basse le mura, quasi senza resistenza le scalarono e penetrarono in città. Lasciate allora le difese tutti coloro che tenean dal papa corsero a chiudersi nel real palazzo, e restò la città aperta al vincitore.
Manfredi, ottenuta quella vittoria, temendo non l’altro esercito fosse venuto a soprapprenderlo mal preparato alla difesa, nulla curando quel racimolo di gente chiusa nel palazzo di Foggia, fece ritorno in Nocera, con animo di correre il domani sopra Troja; ma il domani fatto appena giorno, vennero in sua presenza due messi spediti dai Trojani, i quali riferirono che, giunta appena in Troja la notizia della vittoria di Foggia, il legato pontificio s’era dato a fuggire con tanta pressa e paura, che raggiunse sulla via di Napoli il marchese di Bembourgh, partito il giorno avanti; e con tanta precipitanza era fuggito l’esercito papale che molti de’ cavalieri, per non perder tempo a sellare i cavalli, fuggirono a bardosso; molti non curarono pur di sciorli dalle mangiatoje e via a piedi; coloro stessi che aveano pensato a portar seco la roba sopra asini o muli, abbandonavano poi que’ somieri anche alle donne ed a’ fanciulli, che scontravano lungo la via, che nell’oscurità della notte, la paura faceva loro apparire soldati di Manfredi.
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