Nè contenti a ciò, per mostrare di non esser da meno dei loro compagni di Nocera nel pigliar le parti di Manfredi, fattisi padroni della stessa città di Acerenza, la misero in mano del conte Galvano Lanza, per tenerla a nome del nipote.
In questo, vennero a trovare il principe il conte di Acona suo cognato e Riccardo Filangeri, conte di Martino, dicendogli: essere scandaloso che, mentre tutti i principi della terra mandavano loro messi al nuovo pontefice, egli solo nol volesse fare. Manfredi, che non volea che il papa potesse ascrivere il suo messaggio a debolezza e timore, rispose loro: se non avere altro messaggio da mandare al papa, che quello di sgombrar tosto il regno e non molestare più oltre i dritti di re Corrado II suo nipote e’ suoi. Ciò non però di manco il maestro (480) Giordano da Terracina, notajo della santa sede, il quale in grande stato era presso la romana corte e benevolo si mostrava a Manfredi, fece a lui conoscere che dal mandarne suoi messi al papa non poteva a lui venire altro che bene: per che il principe spedì in Napoli i suoi due secretarii Gervasio di Martina e Goffredo di Cosenza, ai quali diede facoltà di venire a quei patti, che potessero tornare a vantaggio del re e del regno, senza restarne leso l’onor suo.
Cominciatosi a ventilare le proposizioni dell’una e dell’altra parte, sursero difficoltà che sol la volontà del principe poteva torre; il perchè i due messi proposero, che alcuno dei cardinali, munito di pieni poteri dal pontefice si recasse dal principe, per concertare le cose.
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