Manfredi non se la fece accoccare. Rispose, che non avrebbe mai consentito il suo passaggio; e quello promise di levarsene dal pensiere.
Dopo alquanti giorni, quando parve al marchese Bertoldo che Manfredi, fidando sulla sua promessa non guardava più il passo, sul far della sera si mise in via con tutta la sua gente e le carra. Ma il principe che avea avuto sempre gli occhi addosso a quel perfido, saputa per suoi esploratori la mossa di lui, mise in guato una schiera cappata dei suoi, per soprapprenderlo. Era già nel cuor della notte, quando la gente del marchese giunse a quel passo. Assalita, quando men lo pensava, non ebbe scampo; di duemilatrecento cavalli e millecinquecento fanti, ne furono uccisi millequattrocento e presi quattrocentocinquanta; il resto dispersi.
Scene più calamitose in questo avean luogo entro Foggia. Per lo straordinario numero dei soldati pontificî, i viveri erano ridotti tanto scarsi che per una gallina si dava un cavallo, e di rado si trovava; e per essere gli stessi affastellati nelle case, gravi malattie nacquero; morivano i sani per la fame, morivano gli ammalati per la mancanza di medicine e di ogni altro conforto all’arsura della calda stagione, che correa. Il numero degli infermi era tale che fra le bagaglie del marchese di Bembourgh, che tutte vennero in potere del vincitore, furono trovati più carri carichi di polli, ed uno carico di medicine e di vittuaglie. Lo stesso cardinale non andò esente delle correnti malattie. In tale strettezza propose al principe una pacificazione che tosto venne conchiusa a tal patto: restasse tutto il regno in libera balìa del re Corrado II e per lui del principe Manfredi, tranne la sola provincia di Terra-di-lavoro, che riteneva il pontefice; con questo che, se il papa si fosse negato a ratificare la convenzione, era lecito al principe ripigliar colla forza la provincia.
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