I Messinesi, mancato il capo, spedirono alcuni dei loro in Calabria al conte di Squillaci, per pregarlo a venire a ricevere in nome del principe la città. Il conte passato il faro entrò in Messina e, ricompostone il governo, tornò in Calabria ad assediare i due castelli di Fulcone Ruffo; ma costui, mancatogli l’appoggio dei Messinesi, visto che per tutto altrove la fortuna arrideva a Manfredi, cesse i due castelli e lasciò il paese.
Restituita la calma in tutta la Calabria, il conte di Squillaci passò in Sicilia per ridurre all’obbedienza Piazza, Castrogiovanni ed Aidone, che fidate nella fortezza del sito, non aveano ancora voluto piegarsi a riconoscere l’autorità del re e del principe; solo con Piazza fu mestieri usar la forza; le altre due, spaventate della gagliardia non che fu espugnata quella, s’arresero di queto.
Il principe Manfredi in questo, tenendo affatto lieve il riccattare la Terra-di-lavoro, venne in Capitanata, per espugnare Brindisi e le altre poche città che in quelle parti erano state ostinate nella ribellione. Cinta d’assedio Brindisi, il principe venne a Taranto, per passar quindi in Sicilia. Ivi a lui venne l’avviso che per opera di un Airoldo di Ripa-alta il popolo di Brindisi avea carcerato un Tommaso D’Oria e gli altri capi della ribellione, ed avea aperto le porte alle truppe regie. Otranto ed Oria fecero lo stesso. Ariano, inespugnabile pel sito, fu dal conte Federigo Maletto presa a tradimento.
IX. - Ridotto all’obbedienza da un’estremo all’altro il regno tutto, dalla Terra-di-lavoro in fuori, Manfredi, imbarcatosi a Taranto venne a Messina, e quindi, traversando l’interno dell’isola, si recò in Palermo.
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