Il capo dell’ambasceria, ch’era un abate, venerando per la sua canizie, con dignitosa orazione disse di esser la regina vedova, madre di re Corrado II, e ’l duca di Baviera, sorpresi che si sia sparsa nel regno la voce d’esser morto il re, il quale era vivente; e però la regina e ’l duca pregavano il principe a restituire il regno al re pupillo. Rispose Manfredi: essere stato il regno già perduto pel pupillo; costare a tutto il mondo d’averlo egli di viva forza svelto dalle mani di due pontefici; e poterlo egli legittimamente tenere come acquisto proprio; nè il papa ed i popoli esser mai per tollerare la dominazione tedesca; ciò non però di manco, non volere egli tenere il regno oltre la sua vita; promettere di restituirlo dopo la sua morte al pupillo; e però essere bene che la regina, madre di lui, lo mandasse nel regno, per acquistarvi la lingua ed i costumi italiani; sol egli prometteva di tenerlo in luogo di figliuolo. Con regia magnificenza poi presentò quegli ambasciatori; e presenti sontuosi loro diede da recarli per parte sua al duca di Baviera ed agli altri principi congiunti di re Corrado. Avuto que’ doni e quella risposta, i messi ripartirono; ed è da credere che ne siano restati contenti coloro, da’ quali erano stati mandati; perocchè, finchè visse Manfredi; nissun altro reclamo o tentativo fu fatto per parte di Corradino.
Fu in questo stesso anno che re Manfredi concepì e recò ad effetto il lodevolissimo pensiere di demolire la malsana Siponto e trasferirne gli abitanti in una nuova città, posta in sito più salubre, che volle si dicesse Manfredonia.
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