Una circostanza concorse a favorire i disegni di papa Urbano. Era in quei dì il governo civile della città di Roma affidato ad un senatore eletto dal popolo; e per le fazioni, in cui la città era scissa, il senatore era o guelfo o ghibellino, secondo che prevalea o questa o quella parte. I guelfi, ch’erano allora i più forti, per avere un più saldo appoggio, non più un nobile romano o delle vicine città, com’era solito, ma vollero scegliere a senatore lo stesso Carlo d’Angiò, il quale mandò a reggere la città un suo vicario, fino a tanto che egli, fatto ogni appresto per la conquista del regno a lui concesso, fosse venuto ad esercitar di persona la carica. Il suo vicario intanto si diede a tutta possa a raccozzare le forze dei guelfi italiani, a fiaccare i ghibellini, e, ciò che più monta, ad aprir secrete mene co’ baroni delle vicine provincie del regno.
Manfredi non mancò a se medesimo. Venuto in Napoli, vi convocò il parlamento del regno; espose il pericolo della vicina invasione; intimò a tutti i baroni il loro servizio feudale; rinforzò l’esercito mercenario con levare in Germania altra compagnia di Tedeschi; strinse maggiormente l’alleanza colle città ghibelline, di Lombardia, di Toscana e dello stato romano, per fare ritardare quanto più potea la marcia dell’esercito angioino; e perchè si sapea che Carlo, recatosi a Marsiglia, quindi dovea coll’armata venire in Roma, per aspettarvi l’esercito, dispose che la sua armata, unita alla pisana, con lunghi pali e con sassi enormi chiudesse la foce del Tevere, acciò i legni nemici, chiuso quel ricovero, potessero di leggieri o esser dispersi dalla tempesta o con vantaggio combattuti in alto mare.
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