Ma di tutto il suo numeroso esercito, poteva solo contare sui Tedeschi ed i Saracini, perocchè il più dei baroni, sedotti dalle promesse dell’angioino di far loro più ampie concessioni di feudi, di sgravarli dei pubblici pesi e liberarli dall’odiosa presenza dei Saracini e dei Tedeschi, si erano indettati con lui e col papa; e però alcuni, col pretesto di difendere le proprie Castella, si tennero lontani, ed altri, comechè seguissero le bandiere reali, miravano a favorire il nemico.
Addì 27 di febbrajo del 1266 i due eserciti furono a fronte. Un corpo di arcieri saracini, lasciatosi indietro l’esercito, furono i primi ad attaccar la mischia con una schiera di ribaldi (494), e di quel trozzo fecero una grandissima tagliata; un grosso stuolo di scudieri corse sopra ai Saracini, i quali, non poterono tener l’urto di quella cavalleria e furono spersi; Giordano d’Anglerio, conte di Sanseverino, arrisicato guerriero, con mille cavalli tedeschi, ch’erano il fiore dello esercito siciliano, diede addosso a quegli scudieri, che non eran tali, nè tali cavalli ed armature aveano da far fronte a quella schiera cappata; però pochi ne camparono vivi ed illesi. Mille cavalieri francesi corsero allora a mescolar le loro mani co’ Tedeschi, i quali non ismagarono, tennero anzi lunga pezza in bilico la fortuna di quella fatal giornata. Manfredi, che dall’alto di un colle osservava la battaglia, visto che i cavalieri tedeschi, stanchi già di due scontri sostenuti, cominciavano a vacillare, si tenne sicuro della vittoria coll’ordinare a’ suoi baroni di dare addosso a’ Francesi; si negarono; egli, disperato, col solo Teobaldo degli Anibaldi, barone romano, che avea giurato (e tenne il giuramento) di morirgli accanto, e pochi militi, che gli furon egualmente fidi, corse nel più folto della mischia a cercare una morte gloriosa e la trovò.
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