- X. Vespro siciliano. - XI. Arrivo di re Pietro d’Aragona in Palermo. - XII. Assedio di Messina. Fuga di Carlo.
I. - La battaglia di Benevento fu il solo fatto d’armi che accadde per la conquista del regno. Morto il re, consensienti il più dei baroni, dispersi i mercenarî tedeschi, i Saracini senza capo, non vi ebbe più chi osasse mostrare il viso al vincitore.
Ma, mentre Carlo si tenea già fermo sul trono, poco mancò che non avesse perduto il regno colla stessa rapidità, con cui lo avea acquistato. Tutti que’ baroni, che si tenevan fedeli alla famiglia di Hoenstauffen, fra’ quali maggiormente si distinguevano i conti Galvano e Federigo Lanza, Corrado e Marino Capece fratelli napolitani, uniti a tutti i ghibellini d’Italia, mandarono invitando Corradino, che varcava appena l’adolescenza, a venire in Italia a raccattare il regno a lui legittimamente dovuto, promettendogli per parte della città e degli altri ghibellini ogni maniera di soccorso. Il giovane non si lasciò scappare il bel destro; lettere scrisse a tutte le città italiane, nelle quali si titolava re di Sicilia e prometteva di venire con forze sufficiente a cacciare l’usurpatore francese dal regno.
Corrado Capece, ch’era uno di coloro, che erano iti a chiamarlo, fu da lui destinato suo vicario in Sicilia, per sollevare a nuove speranze i Siciliani; e ben potea farlo, per essere stato a governar l’isola per parte di Manfredi sino alla funesta catastrofe di quel principe. Costui, avuto il real diploma, venne a Pisa, ove chiese ed ebbe una galea ben armata, colla quale si ridusse a Tunisi.
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