Fra la gente, che seco menato aveano, erano soli diciassette cavalli; ma portaron sulle navi assai selle e briglie, sulla speranza che in Sicilia avrebbero potuto provvedersi di cavalli; nè le speranze loro andaron fallite. Il Capece, posto appena il piede a terra, scrisse lettere a tutte le città di Sicilia, nelle quali diceva: essere già venuto il momento di cacciar dal regno l’usurpatore francese; aver Corradino con fioritissimo esercito, spalleggiato da tutti i ghibellini d’Italia, già varcato le alpi; essersi il popolo romano apertamente dichiarato contro il francese; averlo deposto dalla carica di senatore; stessero di buon animo; a lui accorressero; cooperassero alla grand’impresa. Tali lettere produssero un grande effetto. In tutta l’isola tranne Palermo, Messina e Siracusa, ove la voce pubblica era compressa dalla presenza delle truppe angioine, il popolo palesamente mostrò la sua ilarità.
Governava allora la Sicilia, per parte dello angioino, un Fulcone di Peugricard, il quale, pensando estinguer sul nascere l’incendio, colle sue schiere, alle quali unì molte compagnie di Siciliani, che tenea fidi, corse a Sciacca, per combattere il Capece. Questi gli venne incontro con tutte le sue forze. Appena attaccata la mischia, le schiere siciliane, che militavano col Peugricard, fingendo paura, si volsero in fuga; ma come si furono scostate, gittarono le bandiere di Carlo, inalberarono quelle di Corradino, e diedero addosso dall’altro lato ai Francesi, de’ quali si sarebbe fatta gran tagliata, se Corrado Capece, che di cavalli avea mestieri, non avesse dato ordine di trar giù da cavallo coloro de’ nimici, che venia fatto di prendere, e rimandarli a piedi e senz’armi.
| |
Sicilia Capece Sicilia Corradino Italia Palermo Messina Siracusa Sicilia Fulcone Peugricard Siciliani Sciacca Capece Peugricard Carlo Corradino Francesi Corrado Capece
|