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      Giunta in Messina l’armata provenzale, forte di ventidue galee, comandate da un Roberto di Lavena, professore di dritto civile (496), ad esso si unirono nove galee messinesi, comandate da Matteo di Riso, prode ed esperto marinajo, per andare in traccia de’ legni pisani e combatterli. Al tempo stesso vennero fuori da Messina un settecento militi, tra provenzali, calabresi, messinesi ed ospedalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, i quali fatto cuore per la notizia avuta che il Capece s’era negato ad unirsi al Lanza, tennero assai lieve distruggere quel racimolo di gente sbarcata in Milazzo.
      Quasi nella stessa ora giunsero l’armata nei mari di Milazzo e le schiere terrestri ne’ campi ivi presso. I Pisani, visti i nemici, vollero pigliare il largo, per combattere con più vantaggio in alto mare; i Messinesi, credendo ch’e’ fuggivano, loro corsero sopra ed attaccarono la battaglia; sicuri che le galee provenzali avrebbero loro dato spalla; ma il giureconsulto, al primo menar delle mani, co’ suoi legni sbiettò. I Messinesi, abbandonati dai Provenzali, accerchiati da’ Pisani pensarono a salvar se stessi, con perdere i legni; però, voltate presso terra le prore, corsero a dar del naso nel lido, e quindi saltarono in terra. Sopraggiunti i Pisani trovarono sui legni messinesi solo diciotto persone di nissun conto.
      Le schiere terrestri, ch’erano le sole forze che Carlo avea lasciato in Sicilia, viste le nove galee prese, senza aspettar l’invito la diedero a gambe; e, tanto erano gli Angioini sicuri di esser mal veduti in Sicilia, anche da coloro, che si mostravano loro amici, che correvano a tutta forza verso Messina, non pel timore che i marinai pisani, che a piedi l’inseguivano, potessero sopraggiungerli; ma perchè il popolo di Messina, incuorato della perdita della battaglia, non seguisse l’esempio delle altre città (497), non che di Sicilia, ma della Calabria sino alla parte di Roseto, che aveano inalberato lo stendardo di Corradino; intantochè restavano tranquille sotto il dominio di Carlo le sole provincie, tenute in soggezione dalla presenza delle sue armi, ma il regno era dichiarato contro di lui.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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