Carlo, lieto oltremodo di aver nelle mani quel principe, dal quale era stato ridotto ad un pelo di perder la male acquistata corona, lo fece prima ad alcuni cardinali, ivi a tale oggetto spediti da papa Clemente IV, assolvere dalla scomunica (501), e poi lo fece condurre in Napoli. Ivi giunti gl’infelici prigionieri, Carlo ordinò che dalle principali città di Terra-di-lavoro e del principato di Capua fossero spediti in Napoli due buoni uomini, come loro sindaci (502). A tale adunanza, alla quale aggiunse i giudici di ogni città ed alcuni giureconsulti, commise di condannare Corradino e i suoi consorti. Era in quel consesso un Guido di Luzzara giurisperito da Reggio, il quale ebbe cuore di ribattere tutte le accuse che si facevano a Corradino. «Non essere, diceva egli, perturbatore della pubblica pace un principe, che cerca di raccattare un regno sul quale può vantare incontrastabili dritti; molto meno potersi dar colpa a Corradino di avere i suoi soldati saccheggiate le chiese; non esservi alcuna prova che nelle azioni de’ soldati sia stato ordine o consenso di lui; nè potersi dare a lui tal colpa, senza dichiarare reo lo stesso Carlo, i cui soldati avevano fatto e facevano assai di peggio.» Tutti furono dello stesso parere, tranne un Roberto giudice di Bari, il quale dichiarò essere rei di morte Corradino, Federico duca d’Austria e ’l conte Gerardo di Pisa.
Non s’erano dati ai prigionieri nè termine a difendersi, nè alcun difensore; non s’erano in conto alcuno osservate le forme legali de’ giudizî; di tutti i giudici un solo chiamò quegli sciacurati rei di morte; a quella sola sentenza Carlo si tenne e la volle di presente eseguita.
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