Addì 29 di settembre 1268, eretto il patibolo nella piazza del Carmine in Napoli, vi furono condotte le tre vittime. Carlo volle assaporare la vendetta col vedere da un’alta torre morire il suo nemico. L’infame giudice di Bari lesse ad alta voce la sua iniqua sentenza. Tanta fu l’indignazione generale contro quel tristo, che il figliuolo del conte di Fiandra, Roberto, che era ivi, e pur era genero di Carlo, mosso da generoso sdegno, trasse la spada e la immerse in seno al giudice, che spirò prima de’ condannati. Tosto dopo Corradino, il duca d’Austria ed il conte Gerardo di Pisa ebbero troncate le teste (503). Così venne ad estinguersi l’ultimo maschile rampollo dell’imperial famiglia d’Hohenstauffen.
V. - Compita la tragica scena, sangue meno illustre, ma più copioso cominciò a spargere in Sicilia. Carlo destinò a ricondurre quivi i popoli alla sua obbedienza un Guglielmo Stendardo, che il Malaspina dice più crudele d’ogni crudeltà (504). Prima impresa di costui fu l’assedio di Augusta, ove s’erano ritratti da dugento cavalieri toscani, di quelli ch’erano venuti da Tunisi. Era ed è tuttora Augusta edificata in una penisola, che una stretta gola di terra unisce alla Sicilia; sopra tale gola era edificata una torre, che tutta l’occupava, nella quale stavano i difensori. Non poteva il francese giungere alla città, senza prima espugnare la torre. Mentre lo Stendardo faceva ogni sforzo per venirne a capo, sei de’ principali cittadini, a scanso che i Francesi, presa di forza la torre, non mettessero a sacco la città, venuti fuori secretamente, offrirono allo Stendardo d’introdurre alquanti dei suoi per una postierla nella torre, se egli prometteva di non molestare nè le persone, nè la roba de’ cittadini; e quello solennemente lo promise.
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