Fidati su tale promessa, coloro aprirono la postierla; i Toscani colti alla sprovveduta, non poterono far difesa. Avuta la torre, lo Stendardo ordinò di far man bassa sui miseri cittadini. Primi fra tutti, quei sei, che aveano pattuito, ebbero mozza la testa; quanti si trovavan per le vie, senza distinzione di sesso o di età erano consegnati ai carnefici, che presso al lido li facevano al modo stesso morire, e poi ne gittavano in mare i cadaveri; molti cercarono ricovero ne’ più sozzi nascondigli, ma invano; che i Francesi, come segugi, frugavano per le fosse, per le latrine, per gli acquai e fin per le sepolture, ne traevano gli uomini e li menavano ignudi a quattro, a sei, a dieci per volta al macello; molti disperati si gittarono in mare, preferendo questa morte all’altra; alcuni cercarono fuggire sopra una saettìa, ma tanta gente vi si affollò sopra, che, appena discosta dal lido, la barca affondò e tutti miseramente perirono. In somma pur uno non restò in vita; Augusta ebbe ad essere in appresso da altra gente ripopolata.
Direttosi poi lo Stendardo a Centorbi, ove come in sito munitissimo, s’era ritratto Corrado Capece, con alcuna compagnia di Toscani e di Tedeschi, cinse d’assedio la città. I soldati di Capece, spaventati dalla strage d’Augusta, per aver salva la vita, secretamente pattuirono collo Stendardo di darglielo in mano. Avutone egli lingua, non aspettò d’esser preso; e disse a coloro che a lui venivano con tale intendimento so a che venite; non è mestieri usar la forza: poichè lo volete, vado io stesso a darmi in braccio al nemico; possa il solo mio sangue bastare alla sua sete!
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