Quanto il governo di lui sia stato diverso da quello, è facile il conoscerlo, sol che si ponga mente ai fatti narrati dallo Scriba del sacro palazzo, Saba Malaspina.
Carlo convertì in rendita perenne ed invariabile il provento eventuale, che i re suoi predecessori traevano dal numeroso bestiame, che per civanza o diletto mantenevano nelle terre del demanio. I porci, i bovi, le pecore, le giumente e fino le api e i polli furono da lui dati forzatamente a soccio ai più facoltosi agricoltori di ogni contrada, imponendo loro tale iniqua legge, che colui, al quale si dava una gregge di scrofe, per ogni scrofa che gli si assegnava doveva in capo all’anno darne venti; perocchè si volea in ogni conto che la scrofa dovesse partorire due volte l’anno cinque porcelli, tre femine e due maschi, e le femine del primo primo parto dovevano nell’anno stesso in quella ragione partorire (507). Da coloro, cui si davano pecore, si volevano assolutamente per ogni centinajo di esse, novanta agnelli, sessanta femine e trenta maschi, dieci cantàri di formaggio, due di ricotta e quattro di lana; e dello stabbio doveano concimarne due salme di maggesi, del cui prodotto doveano darne dodici salme di frumento. Per ogni dozzina di giumente, era l’agricoltore tenuto dare ogni anno dieci puledri, sei femmine e quattro maschi. A tutti costoro poi si diede la stessa facoltà, che allora i principi aveano, di menare a pascere quel bestiame, ovunque loro fosse piaciuto, ne’ terreni altrui; e così degli oppressi si fece uno strumento di generale oppressione.
| |
Scriba Saba Malaspina
|