«E per tacere di tanti altri acciacchi, che gli occhi inorridivano al vederli, la lingua si contamina a narrarli, basta dire che i Francesi, che si recavan pedoni da un luogo a l’altro, traevan giù da’ ronzoni quanti viandanti a cavallo incontravano, e, lasciatili a piedi, andavan via co’ cavalli loro; se alcun Francese avea da trasportare roba, pigliava di forza i somieri altrui; e se di paglia, di legna o di altrettali cose avea mestieri, le pigliava ovunque ve n’era nella campagna, senza darne alcuna mercede ai padroni, i quali aveano da lodare Dio, se per soprassoma non toccava loro un carico di legnate (508).» Carlo non tanto che punisse tali soprusi, a bello studio li provocava, per depauperare i regnicoli, sì che non potessero levare il capo contro di lui (509).
Nè i dritti delle chiese erano meglio rispettati. Alcuni de’ vescovi del regno aveano, per particolar concessione, anche le dogane, entro i limiti delle loro diocesi; tali erano i vescovi di Catania, di Cefalù e di Patti in Sicilia, e quello di Cosenza in Calabria. Carlo vietò che nelle spiagge di tali diocesi potesse caricarsi o scaricarsi alcun legno; e così venne nel fatto a spogliare i prelati del dritto loro e d’una parte essenziale della loro rendita.
Tali gravezze, accompagnate dalle continue vessazioni e rese anche più dure dalla crudeltà de’ governadori mandati in Sicilia, dai gastighi spesso ingiusti e sempre atroci, inflitti da un governo nuovo, che sentiva di essere odiato e non curava l’odio, purchè fosse temuto, dalla rapacità e dai modi insolenti e dai licenziosi costumi de’ Francesi, spinsero al sommo la disperazione de’ Siciliani; e tale disperazione intanto più s’accresceva, in quanto per lo ricorrere ai pontefici, nissuno alleviamento poterono mai ottenere ai mali che soffrivano.
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