Papa Clemente IV non si stancava d’insinuar sempre a Carlo di guardarsi dallo imporre tasse di sua sola volontà; ma che, ove il bisogno ne avesse, convocasse il parlamento, facesse conoscere il bisogno e restasse contento a ciò che da quello gli si dava (510); ma cantò a sordi; intantochè, convocatosi da Gregorio X un concilio generale in Lione, vi venne fra gli altri Marino arcivescovo di Capua, il quale espose in più capitoli tutte le vessazioni, le gravezze, gli abusi del governo angioino. Comechè tutti i padri se ne fossero mostrati inorriditi, non potè ottenere altro rimedio, se non quello che due de’ prelati del regno, sciolto il concilio ammonissero Carlo per li suoi ingiusti e sconsigliati procedimenti.
Sotto il pontificato di Giovanni XXI i Siciliani, stanchi di soffrire più oltre, spedirono ambasciatori a quel pontefice, Bartolomeo vescovo di Patti e fra Buon Giovanni Marino, dell’ordine de’ predicatori, per implorare la sua mediazione, perchè avessero fine o modo i mali che soffrivano. Esposero eglino al pontefice il messaggio, di cui erano incaricati; ma, appena venuti fuori, furono, d’ordine di Carlo, presi e menati in carcere. Venne fatto al vescovo unger le mani a chi lo custodiva, e campare; ma la prigionia del povero frate lunga pezza bastò (511).
VI. - Carlo si faceva beffe delle querele dei popoli e delle insinuazioni de’ papi, e ne avea ben d’onde. Era egli assai forte per isfatare i sudditi; ed i papi, non che potessero intimorirlo, aveano grande ragione di temere di lui.
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