Questi, per ischivar la tempesta, avea implorato la protezione del papa Gregorio X, dichiarandosi pronto a riconoscere la supremazia della chiesa latina e farne adottare ai sudditi i dommi. Gregorio X fu lieto di un tal trionfo, e tenne per alcun tempo a freno l’ambizione di Carlo. Ma breve fu il trionfo; l’aggiunzione del filioque al credo greco non fece altro che accrescere l’odio dei sudditi verso il Paleologo. Svanita così la speranza della desiderata unione delle due chiese, i papi più non ritennero il braccio di Carlo.
Mentre il principe angioino si preparava allo acquisto di nuovi reami, altri covava in mente il disegno di spogliarlo del regno. Pietro di Aragona, che già da più anni regnava, principe di gran senno e di gran cuore, non avea dimenticato il dritto luminosissimo della regina Costanza, sua donna, al regno di Sicilia, come colei ch’era sola figliuola di re Manfredi; ma, perchè non avea forze tali da attaccare il regno, mentre Carlo con poderoso esercito vi stava; sicuro altronde che la romana corte avrebbe fatto ogni sforzo in favore di quello, aspettava in silenzio alcuna favorevole congiuntura, ed al tempo stesso accoglieva con piacere ogni siciliano, che a lui veniva, fra’ quali era in grande stato appo lui il calabrese Rugiero di Lauria, valente capitano di mare, da lui promosso a suo grande ammiraglio.
VIII. - La promozione di Niccolò III, nemico di Carlo, svegliò le speranze di Giovanni di Procida e gli fece concepire il vasto ed ardito progetto di mettere in corrispondenza il Paleologo con papa Niccolò e re Pietro, per far che ognun d’essi servisse a’ disegni degli altri e tutti alla sua vendetta.
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