Io, disse allora messer Giovanni, posso trarvi di servitù, purchè vogliate aver fede in me ed eseguire quanto per me e per altri amici è disposto. Promessolo queglino, soggiunse. A voi si conviene ribellar la terra, quando sarà ordinato da tal signore, che tutti saremo lieti della sua signoria. E qui si fece a narrar loro quanto avea fatto e quanto era per fare; mostrò loro la lettera del Paleologo; e fece scriver loro una lettera a Pietro d’Aragona, nella quale lo pregavano a venire a liberarli di servitù, come Moisè liberò gli Ebrei dalla servitù di Faraone (515). Avuta tale lettera, esatto da essi il giuramento del più rigoroso silenzio, lasciò la Sicilia e tirò verso Roma.
Venuto in presenza di papa Niccola, cominciò ad implorare la protezione di lui, per fare rimpatriare tutti coloro, che dalle oppressioni dl Carlo erano stati obbligati a fuggire dal regno di Sicilia e dalla Puglia. Il papa a tal discorso, non conoscendo l’uomo, stava in sul tirato, e rispondeva: se non potere far nulla contro la volontà di Carlo, per essere egli figlio della Chiesa. Messer Giovanni allora lo punse sul vivo, col rispondergli: Santo Padre, Carlo è figlio della Chiesa; ma nè obbedisce, nè rispetta la madre. Come potete dir ciò? Disse il pontefice. S’egli fosse figlio rispettoso della Chiesa, non avrebbe con tanta superbia respinta la vostra proposizione di dargli in moglie una vostra nipote, sì che lacerò la lettera nella quale gliene scrivevate. Il sentire d’esser palese quell’affronto, fece ribollire lo sdegno del pontefice, e senza mistero rispose ciò è ben vero, e volentieri ne lo farei pentire.
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