A ciò re Pietro con amaro sogghigno rispose: siete voi fuor di senno? Come pensate che un signore di piccolo stato, qual mi sono, possa contendere colla casa di Francia e con Carlo. L’altro riprese: e se io vi dessi il regno bello e guadagnato, senza trar la spada, e centomila once giunte per le altre spese, lo rifiutereste voi? A ciò re Pietro disse: che non lo avrebbe rifiutato; ma ne avrebbe voluto assicurazione più certa delle nude sue parole. Qui messer Giovanni gli presentò le lettere del Paleologo, dei baroni siciliani e del papa. Come re Pietro ebbe lette quelle lettere, non si lasciò scappare il ciuffo che la fortuna gli offriva. Rispose qual si conveniva alle lettere; tutto promise, e soprattutto il più rigoroso silenzio.
Tornato allora in Roma messer Giovanni diè conto a papa Niccola del felice esito della sua missione: dimandato dal papa qual uomo fosse l’Aragonese, rispose: il più savio uomo del mondo, il più prode cavaliere della cristianità. Di tal’uomo, rispose il pontefice, a noi ed ai Siciliani facea mestieri; e però disse al Procida di far presto ritorno in Sicilia per animar da sua parte i Siciliani ad uscir di servitù.
Venuto celatamente a Trapani, vi chiamò Palmeri Abbate e tutti gli altri congiurati, narrò loro quanto avea fatto, loro raccomandò a tenere il più stretto silenzio, e quindi partitosi, fu in Costantinopoli. Lieto oltremodo quell’imperadore al legger delle lettere del pontefice e del re d’Aragona, fedele alla promessa, consegnò ad un cavaliere lombardo, che in sua corte era, trenta mila once d’oro per recarle insieme con messer Giovanni a re Pietro.
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