Era stato così celato l’accordo tra re Pietro e i baroni siciliani, che nel primo scoppiar della sommossa, il popolo credendo non potere avere altro schermo alla vendetta di re Carlo, volle darsi in braccio al pontefice, e spedì in Roma l’arcivescovo di Palermo per offrire il regno a papa Martino, il quale acremente lo rigettò.
Re Pietro intanto avuto avviso degli avvenimenti di Sicilia, per meglio deludere il papa e re Carlo, spedì in Roma Pietro Queralta suo ambasciatore, il quale espose al pontefice ed ai cardinali le vittorie riportate su i mori di Barbaria, dichiarò esser fermo proponimento del re d’Aragona d’inoltrarsi sino in Siria al conquisto della santa città: ma, come le rendite sue ordinarie non bastavano all’impresa, dimandava la decima dei beni ecclesiastici di tutti i suoi dominî. Lieti furono il papa e i cardinali della vittoria dei cristiani; ma, come in onta alla strana pretensione dei romani pontefici di disporre del regno di Sicilia come di cosa propria, loro stava sempre sugli occhi il dritto del re d’Aragona, stava papa Martino in pendente per accordargli il chiesto sovvenimento. Il Queralta allora senza aspettare risposta, dilungatosi di Roma, come a caso e di passaggio venne in Palermo.
Avea il comune di Palermo sin dalle prime invitate tutte le città del regno a mandare loro sindaci alla capitale per potere tutta la nazione pigliare legalmente un partito. Il Queralta trovò il parlamento riunito nella chiesa di S. Maria dell’ammiraglio. Discordi erano i pareri, grande il timore di tutti.
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