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      Non era il governo angioino meno odiato in Napoli che in Sicilia; e però era facile a trovar delatori. Giovanni di Procida, che tante dipendenze avea in quel paese, era venuto in cognizione del piano di re Carlo e d’essere già in Napoli settanta galee: e fecene avvertito il grand’ammiraglio, il quale s’accinse a distruggerle prima di soppraggiungere le altre; con sole quaranta galee presentossi a vele gonfie innanti Napoli, ora provocando i nemici a battaglia, ora scorazzando quelle campagne. In questo gli venne fatto di intraprendere una saettìa, per la quale re Carlo mandava ordine al figlio di non venir mai alle mani co’ Siciliani prima del suo ritorno. Ritenuto quel legno, il principe, ignaro dell’ordine del padre, stizzito dell’arroganza de’ Siciliani, fidato nella superiorità delle sue forze, salito egli stesso sulla capitana con quanti erano distinti personaggi di Francia e di Napoli, corse animoso sopra l’armata siciliana. L’astuto Lauria al muover dell’armata nemica, finse darsi alla fuga: preso da ciò maggior ardimento, il principe s’affrettava ad inseguirlo e con ciò dilungavasi dal lido e l’armata sua veniva disordinata. Quando l’ammiraglio siciliano vide i nemici affatto disordinati e lontani dalla terra, onde non potevano più essere soccorsi, voltate in un subito le prore attaccò la battaglia. I legni ch’erano più vicini, non potendo essere soccorsi dagli altri, da’ quali si erano assai dilungati, furono o presi o distrutti. Delle galee che più tarde seguivano, le napolitane si volsero in fuga, ma le francesi, animate dalla presenza e dal pericolo del principe combatterono con estremo valore.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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