Viva l’ammiraglio Loria.»
Non è da dimandare se il vecchio Carlo fosse stato accorato dalla disgrazia, di cui ebbe notizia mentre scendeva in Italia con nuove forze, pieno l’animo di grandi speranze di riacquistar presto la Sicilia; e con ragione sperava di trovarvi alcun favore all’impresa; dacchè eragli venuto fatto di ribellare Alaimo conte di Lentini, il quale dopo d’essersi tanto affaticato per cacciare i Francesi, sedotto dalla Macalda sua moglie, orgogliosissima femina, la quale a nissun patto volea tollerare esser tenuta da meno della stessa regina, erasi indettato cogli Angioini di levare un tumulto in Sicilia, per facilitar loro l’ingresso nel regno. Scoperta la trama, l’infante Giacomo col pretesto di volere informare il re dello stato delle cose di Sicilia, lo mandò in Catalogna con due suoi nipoti complici della congiura. Appena giunti, re Pietro, di già avvisato dal figlio, li fe’ carcerare, e al tempo stesso carcerati furono in Sicilia l’orgogliosa contessa e gli altri complici.
Il popolo di Messina intanto, creduto il principe di Taranto e gli altri prigionieri a parte della congiura, e forse era vero, tumultuando ne chiedea la morte per vendicare in lui il sangue di Corradino. A malistento potè la regina salvarlo ricovrandolo nel proprio palazzo, e poi per maggior sicurezza lo mandò nel castello di Cefalù. E però, fattosi appena Carlo colla sua armata presso Messina, invece dello sperato favore trovò la minaccia di veder troncata la testa del figlio, se osava metter piede a terra; onde egli, certo che i Siciliani non si sarebbero tenuti alle sole parole, non ebbe cuore di tentar lo sbarco.
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