Vi corse tosto da Messina re Giacomo, e cinse la città d’assedio. Intanto l’ammiraglio Lauria, che colà era venuto col re, lasciati in quel porto alcuni legni per chiudere agli assediati la via del mare, ritornò in Messina, e rafforzato da cinque altre galee, che mandò il comune di Palermo, comandate da Palmeri Abate, e da quelle di altre città, con quaranta legni andò in cerca dell’armata napolitana, che dovea portare il grosso dell’esercito in Sicilia. Trovolla già pronta in Castell’a-mare presso Napoli. Erano settanta galee, oltre i legni da trasporto. I Siciliani resi arditi per le passate vittorie, e maggiormente incuorati dalla promessa di un grosso donativo fatta loro dall’ammiraglio cominciarono a sfidare a suon di tromba il nemico, il quale, fidato nella gran superiorità delle sue forze venne fuori animoso. Erano sull’armata napolitana, oltre lo ammiraglio i conti di Brenna, di Monforte, d’Avellino, di Monogello, di Aquila, di Sonville e molti altri nobili. Procedeva l’armata gallo-napolitana fiancheggiata da due legni, in uno de’ quali era inalberata la bandiera pontificia e nell’altro quella di re Carlo. La capitana era in mezzo a quattro galee, che la difendevano; ed ognuna di quelle, comandata da alcun di que’ conti, ne avea due ai fianchi. Indi avveniva che lenti e disordinati esser doveano i movimenti di tutta l’armata: ovechè ognuno dei legni siciliani libero nei suoi movimenti, potea occorrere ove il bisogno chiedea. Aggiungasi a ciò che le galee siciliane somministrate dalle città marittime del regno, eran tutte comandate da gente usa al mare; e tutta la marineria era animata dello stesso deciso impegno di vincere o di morire: ma i Francesi eran tutti prodi, ma non tutti esperti in mare; ed i Napolitani eransi nell’altra battaglia dato il vanto d’essere stati i primi a fuggire.
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