La fortuna fece che il giorno stesso in cui l’armata siciliana riportò quella vittoria presso Napoli, i Francesi, ch’erano in Agosta, ridotti tanto stremi di viveri, che avean mangiato fin la carne de’ loro cavalli e bevutone il sangue per non avere acqua, perduta ogni speranza dell’aspettato soccorso, si resero prigionieri. Eran fra questi il vescovo di Martorana, legato pontificio, ed un frate domenicano, il quale era prima stato mandato in Sicilia con un suo compagno da papa Martino IV per predicar la rivolta. Ambi aveano ricapitate all’abate del monistero di Maniaci le lettere pontificie, per le quali era egli destinato legato in Sicilia con autorità di versare indulgenze a josa a tutti che ribellassero dal governo aragonese. Scoperti, erano stati arrestati: ma Giacomo, che mostravasi sempre rispettoso per la Chiesa, mentre puniva di morte due nipoti dell’abate e pochi altri meschini che s’eran lasciati sedurre, rispettò il carattere ecclesiastico. L’abate mandato prima alle carceri di Malta, poi in quelle di Messina, dopo poco tempo fu mandato libero in Roma: i due frati, non solo ebbero libertà, ma ebbero fatte le spese dei viaggio, e loro si diedero abiti nuovi. Mostraronsi eglino tanto grati, che giuraron pel sacro abito loro di far ogni opera per indurre il papa alla pace. Ma posto appena piede in terra, aveano all’incontro dato ad intendere al conte d’Artois, d’essere in Sicilia un gran partito per la casa d’Angiò, e lo aveano animato a quella spedizione, che tanto dannosa era poi riuscita.
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