Avuta quella lettera, Federigo la trasmise al comune di Palermo, chiedendone il parere. La risposta reca veramente onore ai Palermitani e mostra non volgari essere le idee de’ Siciliani in quell’età. Lo avvertiscono in primo luogo a non fidarsi nella sicurtà promessagli dal pontefice; gli rammentano che i cittadini di Montefeltro e di Urbino, e tutti coloro che avean prese le armi per re Manfredi, dopo d’averle deposte con solenne promessa di perdono, furon tutti messi a morte. Pensasse alla costante inimicizia dei romani pontefici pe’ re di Sicilia; alle ingiuste guerre mosse all’imperator Federigo e al re Manfredi; alla morte di Corradino, che a loro deve accagionarsi; dacchè: Error, cui non resistitur, approbatur; ai sommi sforzi da loro fatti per cacciare il re Pietro e ’l re Giacomo da un trono loro legittimamente dovuto. Non si spaventasse del detto del pontefice, impossibile essere il pugnare contro Dio; chè Dio è sempre da quella parte, ov’è la giustizia. Nè vostro padre, soggiungeano, nè vostro fratello, nè voi, nè noi avremmo riportate tante vittorie, se Dio non fosse stato manifestamente per noi; siamo stati spesso un contro mille, e pure ne siamo sempre usciti vittoriosi, perchè Dio e la giustizia combattevan per noi (524).
Nè contenti al solo scrivere, mandarono i Palermitani Niccolò Maida e i due giudici Pietro di Filippo, e Filippo di Carastono per maggiormente distorlo da quella gita. Ciò non per tanto Federigo volle andare, menando seco il gran cancelliere e ’l grand’ammiraglio.
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