VI. - Nessuno da prima prestò fede a tal notizia; intantochè i più cospicui baroni, e particolarmente i Catalani e gli Aragonesi, credutala una menzogna sparsa ad arte da Federigo per farsi strada al trono, si ritrassero ne’ loro castelli con animo di opporsi a tale impresa, per non mancare alla fede promessa a Giacomo. Dall’altra mano molti de’ baroni e de’ sindici dei comuni riunitisi in Palermo addì 11 di dicembre 1295 proclamarono re Federigo; e destinarono tre dei sindaci come ambasciatori della nazione a Giacomo, onde avere una notizia legale della cessione da lui fatta.
Giunti i messi siciliani in Aragona e chiesto del fatto Giacomo, palesò loro la verità. Allora i messaggieri alla presenza di tutta quella corte sì protestarono contro tal cessione, e dichiararono che, poichè re Giacomo avea senza consenso della nazione renunziato il regno, i Siciliani si teneano sciolti da ogni dovere verso di lui, e liberi di darsi un re a posta loro. Giacomo, non che assentì a tal dichiarazione, ma permise che se ne fosse fatta pubblica scrittura. Prima di ripartire poi quegli ambasciatori, chiamatili in privato, raccomandò loro la regina Costanza sua madre e la principessa Violante sua sorella. «Per Federigo», soggiunse «nulla ho a da dirvi; egli è cavaliere, sa quel che deve fare: e voi Siciliani conoscete il dover vostro.» Fatta così certa la rinunzia di Giacomo, cessarono le fazioni, tutti concorsero nel voto d’esaltare l’infante Federigo al trono, e a tale oggetto fu convocato il parlamento in Catania, ove, perchè più solenne apparisse il voto della nazione, Federigo chiamò, oltre i sindaci, sei cittadini dei più distinti per nobiltà, per virtù, per sapere e per facoltà di ogni comune (525). Ivi l’infante a voti unanimi fu acclamato re, e fu designato il giorno dell’imminente Pasqua per coronarsi in Palermo.
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