Giunta in questo la Pasqua, addì 24 aprile del 1290 il re fu con maravigliosa pompa coronato in Palermo. In tale occasione egli armò cavalieri di sua mano trecento nobili, ai quali concesse terre, castella, contee, feudi e cospicui impieghi. Seguirono poi giostre, tornei ed altre maniere di pubbliche feste. Ma ben altre cagioni ebbero allora i Siciliani di gioire.
Sceglievan essi a lor posta quel sovrano, esercitando questa suprema facoltà per la seconda volta. In questa isola vedean essi accertata la sede del governo e tolta l’influenza di un regno maggiore straniero e lontano. Conoscevan per prova qual principe di alta mente e di gran cuore si fosse Federigo; e quindi scorgevano in lui con giubilo l’amorevol padre, l’ottimo monarca, l’invitto guerriero, che difender li poteva dagli incessanti travagli del superbo Angioino e dal geloso rancore del re Giacomo dimentico del fratello e del loro antico affetto. Le più belle speranze tenean desto a nuova vita il cuore dei Siciliani; nè queste andaron fallite. Perocchè Federigo, sin dal primo istante che, cinto il diadema, fu salutato re, pubblicò sapientissime leggi; raddoppiò le sue cure verso i novelli suoi sudditi; secondò i voti della nazione, confermandole le antiche franchigie ed altre nuove ed interessanti accordandole giurò di non lasciar mai quest’isola, nè di tentar maneggi con la romana corte, senza la espressa volontà e il consenso dei suoi popoli; riordinò i magistrati; rese più spedita la giustizia; assoggettò i giudici ad un sindacato di uomini probissimi; raddrizzò insomma ogni ramo di civile amministrazione.
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