Rammentò il detto di Cesare: In plebem vetat manus, monstratque senatum: e conchiuse con ordinare al grand’ammiraglio di apparecchiare pel domane le macchine da guerra per l’assalto: ed incontinente, fatto marciare l’esercito si pose ad oste attorno la città. Era questa tutta cinta da ertissime rupi che le facean difesa, solo dal lato del castello era una estesa pianura che ne avrebbe reso facile l’accesso, se non fosse stato difeso da un profondo fossato. Qui il re s’accampò ed ordinò di colmare quel fossato: e a tale oggetto egli stesso die’ mano col suo coltello a tagliare gli alberi e gli arbusti, che in quei campi erano. In poco d’ora il fossato fu colmo. Il domane al far del giorno fu dato il segnale dell’assalto. Tale era l’ardore della truppa animata dall’esempio e dal valore del re, che quelle rupi tenute inaccessibili furono in breve superate dalla gente di mare, mentre lo esercito batteva senza intoppo il castello. Quel conte allora, perduto ogni speranza di difesa, fe’ cenno d’accostarsi al grand’ammiraglio, che comandava una banda degli assalitori, dicendogli: «De per lo comun sangue nostro ti scongiuro, non far che la terra sia presa di forza. Pensa che la mia disfatta, la mia prigionia farebbero un frego a tutta la famiglia.» Il Loria, fattogli cenno di silenzio col dito, correndo di qua e di là fra combattenti, dava da per tutto ordine di sospender la pugna: poi recatosi a tutta lena in presenza del re, gli disse essere inutile lo sparger sangue più oltre, che il conte mostravasi pronto a venire a patti.
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Cesare Loria
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