Dall’altra parte Vinciguerra Palici, Matteo di Termini ed altri baroni facean vedere il pericolo che il minor fratello intimorito o sedotto dal maggiore, non li abbandonasse. Radunato il parlamento, il più de’ ragionari fu contro la gita del re: ma levatosi il grand’ammiraglio, disse grande esser la potenza del re d’Aragona, e se egli veniva ad accomunar le sue forze con quelle degli altri nemici, la Sicilia non avrebbe scampo; avere essa sino a quel punto potuto resistere per la superiorità delle forze navali, ma, perduta questa, perchè maggiori sono in ciò le forze dell’Aragona, le città marittime del regno ne sarebbero state arse o saccheggiate, e quelle entro terra obligate ad arrendersi senza difesa: non essere altro compenso che il correr tutti a gettarsi a’ piedi di re Giacomo; chè forse l’aspetto del fratello supplice potrebbe distoglierlo dal proponimento: nè potersi dire che l’onore del re nol comporterebbe; conciossiachè non sarebbe sdicevole che il minor fratello s’acchinasse al maggiore. Ma l’ostinarsi nel contrario parere porterebbe la conseguenza della perdita delle principali forze del regno; dachè tutti i baroni aragonesi e catalani dovrebbero ritrarsi, per non divenire, giusta le consuetudini di Aragona e di Catalogna, rei di alto tradimento, col pigliar le armi contro il loro signore.
Quel discorso destò come un ronzio in tutta l’adunanza, pochi ad alta voce osavan contraddirlo, molti sommessamente ne mormoravano; talmentechè in quella tornata nulla potè conchiudersi.
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