Se ora viene il re d’Aragona ad attaccar la patria loro adottiva ed ei la difendono, non per questo potrebbono chiamarsi traditori. Traditori bensì saranno coloro, che si negano a pigliar le armi e seguirmi per la difesa della patria.» Così fra gli applausi generali l’adunanza fu sciolta, il re fe’ ritorno in Messina e ’l messo di re Giacomo si partì.
VII. - Intanto posavan le armi. Solo un attacco ebbe luogo tra cinque galee siciliane che a difesa stavano dell’isola d’Ischia e nove grosse barche napolitane, delle quali cinque fur prese e quattro fuggirono: di che re Carlo ebbe tale onta, che ne fe’ impiccar per la gola i quattro comandanti. Ma le politiche mene continuavano. Re Giacomo chiamò a se, ignorasene il perchè, il grande ammiraglio: e questi, avuta la lettera, suggellata, com’era, presentolla al re. Apertala e lettone il contenuto, il grand’ammiraglio cominciò a promettere che avrebbe fatto opera per distorre re Giacomo dal proponimento. Corrado Lanza, cognato di lui approvò la proposizione; il re, non che diegli licenza, ma gli permise di portar seco due galee per provvedere di viveri e di munizioni i suoi castelli di Loria e Badulato in Calabria. Ma quando si fu partito, gli emuli suoi cominciarono a soffiar negli orecchi del re che il Loria erasi secretamente buttato dalla parte di re Giacomo, ciò che altronde, ove si ponga mente ai fatti antecedenti ed a quelli in appresso seguiti, non pare improbabile. Fatto fu che ritornato egli e presentatosi al re in Messina, nel volergli baciar la mano, il re sdegnosamente la ritirò, cominciò a rimproverargli il tradimento e conchiuse ordinandogli di rendersi prigione.
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